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Segheria Veneziana - Rabbi

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Straordinario esempio di ingegno dell’uomo levigato dai tempi in cui la potente forza dell’acqua imbrigliata e condotta attraverso meccanismi di geniale semplicità produce grande risparmio di fatica nella trasformazione dei prodotti della Terra.
La segheria ad acqua, costruita da abili uomini memori della tradizione della più raffinata carpenteria costituisce un importante esempio dell’elevato livello qualitativo raggiunto dalle macchine idrauliche dell'epoca pre-tecnologica durante la loro evoluzione attraverso i secoli.
La Segheria di Rabbi, degradata dagli eventi dopo l’abbandono dell’attività produttiva durante gli anni ’60, è andata velocemente degradandosi e rischiava di sparire.
Un intervento curato dal Comitato di gestione per la Provincia Autonoma di Trento del Parco Nazionale dello Stelvio ne ha concesso la rinascita.
La rimessa in funzione della segheria è stata improntata ad una operazione di restauro che ha consentito di conservare, per quanto possibile, le parti originali del meccanismo e della struttura di protezione. Le maestranze del Parco, usando le antiche tecniche della lavorazione del legno hanno costruito pezzo per pezzo tutte e parti mancanti, sistemato quelle esistenti e con grande abilità hanno rimesso in moto ruote e meccanismi altrimenti destinati alla distruzione.
In più si è voluto approfondire la ricerca, allestendo nei locali un tempo adibiti a deposito e alloggio del custode, questa semplice ma significativa mostra la quale porta la testimonianza di quanto importante sia stata nel passato della Val di Rabbi la lavorazione ed il commercio del legname.
Un nuovo modo di vedere il museo il quale lasciando nel loro luogo di origine gli oggetti da esporre ne consente la percezione totale: udire il rumore assordante, odorare la fragranza del legno appena tagliato consente al visitatore di immergersi nell’antico e straordinario mondo degli uomini della montagna ormai legato solo al ricordo.

CENNI STORICI E TOPONOMASTICI
 

Troviamo Rabbi nominata per la prima volta nel 1236 come “de Rabio”; il toponimo è prelatino, da riferirsi probabilmente a “rova”, o “rava” cioè “smottamento”, (cfr. la voce solandra “rübia” per slavina). In un secondo tempo può aver concorso il latino medievale “rabius” per indicare l’impetuosità del torrente e l’appartenenza a Rabbi, creando il nome “Rabbiés”. Un confronto si può fare con Arabba (in dialetto “Rèba”), frazione di Livinallongo. I toponimi che indicano i paesi più importanti della valle sono invece di origine medievale. Troviamo per la prima volta Piazzola nel 1480 (“Plazola”): la tradizione vuole che il nome derivi da uno spianato, la “plazölå” appunto, dove convenivano le donne dei masi a pregare al rintocco delle campane della chiesa di San Bernardo inginocchiandosi in direzione del suono. Proviene dal latino “platea” in un diminutivo in -eola. Nel 1338 troviamo per la prima volta Pracorno (Pracòrn): anche qui la tradizione ricorderebbe le battute di caccia che vi facevano i conti di Caldés, quindi un “prato del corno”. Infine San Bernardo (San Bernàrt), dall’agionimo San Bernardo di Chiaravalle a cui è intitolata la chiesa.

La colonizzazione della Val di Rabbi avvenne probabilmente intorno ai secoli X e XI, da persone provenienti dai paesi solandri circostanti, senza comunque insediamenti stabili. Questi apparvero probabilmente nel 1200: nel 1236 abbiamo che Ottolino da Bosco di Civezzano e suo figlio Giacomino infeudarono Porcardo, figlio di Salatino di Cagnò di una decima nelle pertinenze di Rabbi e di Samoclevo a favore del suo uomo di masnada Bertoldo da Samoclevo. Nel “Liber focorum” del 1350 a Rabbi non è nessun fuoco, cioè famiglia libera tassata: ciò fa pensare a insediamenti di servi, o comunque di genti di altri paesi, probabilmente ancora non molto stabili. Un aumento considerevole della popolazione dovette esserci tra la fine del ‘300 fino alla fine del ‘400: nel 1390 troviamo testimonianza dell’esistenza di due mulini, una carta del 1491 ci dice come verso il 1460 nella valle vivevano al massimo 20 famiglie, le quali raddoppiarono di numero in soli vent’anni. Vi erano ancora in quel tempo circa 60 masi, costruiti negli ultimi decenni, i quali appartenevano per la maggior parte ai vicini delle ville della

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bassa Val di Sole, e che cominciarono appunto ad essere abitati stabilmente verso la fine del XV secolo; inoltre vi erano in Rabbi dalle 16 alle 18 malghe. Anche la chiesa di San Bernardo trova origine nel ‘400, ma solo nel 1511 venne elevata a curaziale; nel 1513 fu concesso il fonte battesimale e nello stesso periodo troviamo il camposanto; agli inizi del XVI secolo si assiste ad un rapido aumento della popolazione, grazie anche a famiglie oriunde della bassa Val di Sole, tant’è che essa triplicò in una cinquantina d’anni. Dal punto di vista politico-istituzionale la giurisdizione di Rabbi passò nel 1472 ai Conti di Thun, signori della Rocca di Samoclevo, da cui la valle dipese nei quattro secoli successivi. Per quanto riguarda le rinomate “acque acidole”, la più antica notizia ce la dà verso il 1668 il consigliere Giovanni Giacomo Maffei, medico alla Corte dell’Elettore duca di Baviera. La “Fonte antica”, spettante per diretto dominio ai Thun, sarebbe stata scoperta verso il 1660 dalle capre.

TESTIMONIANZE INTORNO ALLA PRESENZA DI SEGHERIE A RABBI
 

Come detto le prime macchine ad acqua presenti in Val di Rabbi di cui abbiamo testimonianza certa sono due mulini nominati nel 1390, quando Pedraccio di Caldés ne fu infeudato dal Principe Vescovo di Trento Alberto II di Ortenburgo. Da ciò possiamo ipotizzare la presenza di altre macchine ad acqua quali le segherie. C’è da dire però della maggiore importanza dei mulini rispetto alle segherie: se i primi rispondevano a varie necessità (sussistenza, pagamento delle decime, commercio) le seconde servivano quasi unicamente al fabbisogno dei valligiani; solo dal XVIII cominciò una certa attività di esportazione (tutto diverso è per esempio il caso della Val di Fiemme, del Primiero, delle Giudicarie e della Vallagarina con Folgaria, che che già dal ‘400 commerciavano legname, specie con la Serenissima). Inoltre l’appartenenza plurisecolare della valle alla giurisdizione dei Conti Thun richiederebbe l’indispensabile esame delle carte custodite nell’archivio di Castel Braghèr per avere un quadro completo ed esaustivo delle notizie esistenti. Possiamo comunque sfruttare indizi e congetturare quindi con fondamento almeno fino a metà ‘700; da qui in poi le testimonianze sono più certe.
Nel 1379 troviamo per le Pievi di Malé e Ossana “molendinis, et alijs aedificis

laborantibus super aquas”. Nel 1399 abbiamo notizia della morte di Federico di

ser Taglio, colpito da un tronco fatto scivolare dal “tof” di Soronco del monte

Istella, “i cui confini sono l’acqua del Rabbiés, la comunità di Solàsna e i signori

di S.Ippolito”: una testimonianza interessante, se non altro per la “fluitazione”

che si faceva del legname. Nel 1494 e nel 1529 in due documenti dell’archivio

parrocchiale di San Bernardo è nominata la “contrata alla Sera”, ancor oggi vicino

a Piazzola esiste la frazione di Serra, o Alla Serra: questo ci consente di pensare

a “serra da serrare l’acqua per trarne la gora da metter in moto la ruota”, oppure

con serra che indica l’edificio della sega. Ciò avrebbe originato pure i diffusi

cognomi Serra e Dallaserra. Ancora potremmo pensare alle chiudende utili a

realizzare delle piene artificiali per la fluitazione del legname. Nel 1543 a Castel

Caldés, “in stuffa magna” è presente Bonavent fu Antonio carbonarii della Valle

di Rabbi: la produzione di carbone necessitava di grandi tagli di legname e quindi

possiamo dedurne la presenza di segherie. Ancora nel 1568 abbiamo che un

“Domenico Toniet era passato insieme a Paolo Cavallaro di ser Gianmaria Spada

di Malé, coi cavalli carichi di carbone per i prati “del Plan” in Rabbi”. Da notare come l’unica, che io sappia, località “al Plan”, ancor oggi ben nota, sia quella che nelle immediate vicinanze vede l’esistenza della segheria “dei Bègoi”; probabile quindi che una segheria fosse presente da quelle parti fin dalla metà del 1500.   E’ in questo periodo oltretutto che si diffondono le famose segherie “alla veneziana”. Inoltre, per quanto riguarda la Val di Sole in generale i documenti ci testimoniano la presenza di segherie a Mestriago nel 1500, a Peio nel 1548, a Mezzana nel 1686; almeno al XVIII secolo risale la segheria di Malé. Nello stesso periodo in Val di Rabbi esistevano 18 mulini, in buona parte spazzati dalla piena del Rabbiés causata dalle terribili piogge che afflissero la zona tra il 2 ed il 10 ottobre 1789. Probabilmente fu spazzata via anche la prima segheria rabbiésa di cui conosciamo con certezza l’esistenza: infatti nella carta geografica intitolata “Tyrolis pars meridionalis cum Episcopatu Tridentino” di Joseph de Sperges pubblicata nel 1762 troviamo segnalata la località “alla Sega”. Anche Peter Anich e Blasius Hueber nel loro celeberrimo “Atlas Tyrolensis” del 1774 la riportano, un po' prima di arrivare alle “Acidole”. Si tratta, credo, della zona odiernamente detta “Molìn”; il fatto che le mappe catastali austriache del 1859, ma redatte dal 1840, non la riportino induce ad ipotizzare l’esito disastroso del 1789 anche per questa segheria, salvo mantenere il toponimo (anche se oggi nessuno se lo ricorda e la località è individuata come “Molìn”). Pure dei registri di proprietà e decime inerenti alla Val di Rabbi del 1780 circa riportano numerose volte questa località “alla Sega”. Compare anche nella “Carte general du theatre de la guerre en Italie et dans les Alpes” di Bacler d’Albe, pubblicata a Parigi nel 1798-1800. Arriviamo così alle mappe catastali austriache datate 1859, ma i cui rilevamenti furono effettuati a partire dal 1840; in esse sono chiaramente identificabili due segherie ad acqua, una quella detta “dei Bègoi” e l’altra quella alle Fonti. Inoltre  nella carta della Val di Rabbi di Giovanni Zanon e risalente agli anni ‘20 del nostro secolo si trovano la località “alle Seghe” di Pracorno, la frazione Alla Serra e la segheria detta “del Bègol”. Attualmente sussistono, in diverse condizioni, le segherie di Pracorno, quella di Masnovo, quella alle Fonti e quella dei Bègoi.

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L'EVOLUZIONE TECNOLOGICA

“Te rapidus Celbis, te marmore clarus Erubris
festinant famulis quam primum adlambere lymphis:
nobilibus Celbis celebratus piscibus, ille
praecipiti torquens cerealia saxa rotatu
stridentesque trahens per leuia marmora serrasll
audit perpetuos ripa ex utraque tumulus...”

 

Questi versi di Ausonio, poeta gallo-romano del IV sec. d.C. rappresentano forse la prima testimonianza sulla presenza di macchine ad acqua per tagliare il legname: si riferiscono ad alcuni affluenti della Mosella. Per alcuni studiosi pongono l’esistenza di segherie all’epoca romana, alcuni al I sec. d.C. Bloch, riferendosi ai versi di Ausonio le pone nel IV sec., Singer e Usher non prendono in considerazione quest’ipotesi. Mokyr ne colloca la presenza prima del XII secolo, per l’Italia Ciani parla di segherie cadorine prima del IX sec., comunque non si sa nulla sui sistemi di funzionamento. Altri documenti pongono segherie nel XI sec. nei Vosgi e nel 1204 in Normandia; in ogni caso l’Italia nord-orientale nei secoli successivi costituì uno dei centri di maggiore sviluppo di queste macchine, dal punto di vista sia numerico che tecnologico. Le prime segherie trentine di cui si ha traccia sono quelle di Calliano nel 1235 e di Avio nel 1254. Probabilmente il loro funzionamento era quello delle segherie a camme, delle Klopfsägen tedesche: infatti in quel periodo l’afflusso di minatori tedeschi giustificava un apporto tecnologico di questo tipo. Secondo Sebesta la segheria a camme era quella adoperata nel XIII secolo lungo l’Adige: solo più tardi sarebbe apparsa la segheria “veneziana” col tipico movimento a biella e manovella. D’altronde i mulini per la follatura del 1200, presenti nelle nostre zone, funzionavano a camme: ciò potrebbe benissimo valere anche per le segherie. Non ci sono comunque certezze. Col crescere del commercio del legname anche gli aspetti tecnologici videro importanti evoluzioni, con differenti modelli. Intorno al 1500-1600 vediamo affermarsi due modelli principali, la segheria veneziana e quella augustana; la nostra regione inoltre, punto di incontro, vedrà modelli misti tra questi due tipi di tecnologia.
 

Le segherie “veneziane”
 
La caratteristica costruttiva principale della segheria alla veneziana è quella di avere

una ruota idraulica a pale di piccole dimensioni, colpita posteriormente e di fianco,

direttamente collegata al sistema biella-manovella tramite l’albero di trasmissione.

La lama è posta lateralmente al telaio, il sistema di avanzamento si trova sotto il carro,

che scorre su rulli, ed è mosso da una fune o catena. Il tronco viene segato interamente

e la posizione laterale della lama è dovuta alla tecnica di segagione che prevede di

appoggiare il tronco alla sponda del carro per iniziare a segare le tavole. Sul principio di

funzionamento di questa macchina si è basata tutta la generazione di segherie che

utilizzavano il sistema biella-manovella in opposizione al sistema a camme, tipico delle

Klopfsägen tedesche e delle scies à bloc francesi. La veneziana è il prodotto di un

ambiente tecnologico avanzato, quello della Repubblica di Venezia, tendente ad

organizzare in modo sempre più efficiente un settore di importanza strategica come

quello della lavorazione e del commercio del legname, un ambito nel quale la città

lagunare rivestì un ruolo di assoluto rilievo, almeno fino al XVII secolo.
Dal punto di vista storico-tecnologico è stata quasi del tutto ignorata la rilevanza del modello di sfruttamento dell’energia idraulica proposta dalla piccola ruota della sega alla veneziana. Le ruote idrauliche medievali erano conosciute per essere colpite da sotto o da sopra. Secondo Cipolla quelle dei mulini avevano misure comprese fra i due e i quattro metri, mentre solo nel XVII secolo fu possibile costruire ruote fino a 10 metri di diametro. Il modo di colpire la ruota da sopra o da sotto venne indicato come l’unico disponibile fino all’introduzione della ruota idraulica colpita di fianco, ideata da Smeaton fra il 1750 e il 1760, che significò un notevole progresso. Questa innovazione sembra sia stata seguita dalla scoperta che l’efficienza poteva essere ulteriormente migliorata facendo arrivare l’acqua con un angolo di 45° rispetto al terreno. E’ possibile però che la ruota della veneziana avesse in parte realizzato questi due miglioramenti già nel XVI-XVII secolo, e che il suo funzionamento possa essere considerato un precursore del principio della turbina introdotta in Trentino alla fine dell’800. Questi fattori, l’eccezionale efficienza di questa segheria, possono spiegare il suo straordinario successo, la grande diffusione e la tenace persistenza.
 

Le segherie “augustane”
 
Il termine di sega augustana è stato utilizzato da Jütteman nel 1982 per descrivere quelle che più

genericamente Exner nel 1878 definiva come segherie tedesche in alternativa alle “Venetianer

Gatter”, allora già ben conosciuto. La segheria augustana ha una ruota idraulica grande a cassette,

ruote moltiplicatrici, sistema biella-manovella, lama posta centralmente, sistema di avanzamento

posto sopra il carro che scorre su binari ed è avvicinato al telaio da un ingranaggio con ruota

dentata che costituisce il sistema di avanzamento. Il telaio non ha la sponda laterale perciò,

considerata anche la posizione della lama, il tronco viene segato in modo diverso rispetto alla

veneziana. La ruota grande aveva l’indubbio vantaggio di consentire l’impianto di una segheria

anche in presenza di portate d’acqua molto inferiori a quelle necessarie per una veneziana.

Questo aspetto ebbe un peso notevole per la diffusione delle segherie con ruote grandi e

moltiplicatore anche al di fuori della zona alpina, o comunque in quelle zone dove i torrenti

scarseggiavano di acqua. Data l’abbondanza di acque veloci, l’importanza di questo modello

nell’arco alpino orientale è quindi minore rispetto al sistema alla veneziana. I vantaggi di

quest’ultimo erano infatti evidenti, dato che il numero di giri della piccola ruota idraulica era assai

elevato e veniva trasmesso direttamente al telaio (numero corse del telaio = numero giri ruota

idraulica). Nelle segherie tedesche, augustane o meno, erano invece sempre richieste una o più

ruote moltiplicatrici per raggiungere una frequenza sufficiente di corse del telaio. Infatti, la grande

ruota idraulica aveva un numero di giri al minuto piuttosto basso, a seconda del suo diametro.

Questo però comportava un aumento notevole delle resistenze passive, dato che un numero maggiore di organi di trasmissione andava ad aumentare il lavoro perduto a causa di attrito, urti, resistenze del mezzo. Si aveva perciò un aumento notevole della potenza motrice necessaria e una conseguente diminuzione del rendimento.
 
Per quanto riguarda le segheria dei Bègoi e delle Fonti nella Val di Rabbi possiamo definirle come segherie veneziane: in particolare la ruota idraulica dei Bègoi è interamente in legno, larga circa 1 m e con un diametro di 60 cm; quella delle Fonti, anch’essa interamente in legno, è larga 1,20 m con 64 cm di diametro.

 

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